Luisa Rota Sperti

LUISA ROTA SPERTI

Il guardiano del Sasso Cavallo


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Luisa Rota Sperti - Il Guardiano del Sasso Cavallo
Mostra

Il Guardiano del Sasso Cavallo
Sala Civica Don Carlo Gnocchi - Abbadia Lariana (Lecco)
Inaugurazione: Sabato 22 novembre 2014 ore 17.00
La Mostra sarà aperta: domenica 23 e 30 novembre
dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30.
Da lunedi 24 a sabato 29 novembre dalle 16.00 alle 19.00.
Locandina Pdf




Immagini della serata:

Luisa Rota Sperti

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Approfondimenti:

Luisa Rota Sperti

Le Grigne sono un mondo complesso. Per me andare in Grignetta ad arrampicare, o venire in val Meria al Sasso Cavallo, non è la stessa cosa. E' una questione di stati d'animo, di sintonie e risonanze. Ogni volta è una voce dentro di me a dirmi quale sentiero imboccare e su quali rocce si poseranno le mie mani. Compatibilmente con i miei impegni, che non sono pochi - io non vivo di montagna. Cosi, quelle rare volte che mi posso ancora permettere di bivaccare ai piedi del Cavallo la notte prima d'una salita, e indugio disteso nel sacco con le spalle addossate alla parete, e guardo in basso i lumi dei paesi far da contrappunto alle stelle in cielo, mentre la brezza pungente spazza la costa sotto i miei piedi facendomi rabbrividire, sono i sogni e i ricordi a tenermi desto come una schiera di benevoli fantasmi. lo credo che tra i ricordi e i sogni non corra una grande differenza. Gli uni e gli altri sono tessuti nel tempo: i sogni sono ricordi futuri e i ricordi sono sogni passati.
A volte capita di confonderli. Già, come 'quando io e Peppo fummo respinti dal Cavallo - aveva la groppa madida come dopo una corsa - e tanto per non tornare a mani- vuote, ci siamo calati nella Val Mala sulle improbabili tracce di una favola venatoria. Mezze parole carpite davanti alla fiamma una sera d'inverno in Elisa, frutto del vino della nostalgia e della passione. Ancor oggi non sono certo di -esserci stato davvero in quel budello malefico serrato tra quinte di roccia seducenti e fatali. E' uno strano posto quello: selvatico, primitivo, impervio. Se la Grigna ha un inconscio è tra quelle ombre che lo ha celato.
Il Sasso Cavallo, al contrario, è il volto solare della Grigna. Di primo mattino d'estate, quando sono già a buon punto della val Meria, se alzo lo sguardo, vedo improvviso il profilo del Cavallo colpito di sbieco dal sole stagliarsi contro il cielo. E sembra che mi sorrida beato e sornione. Dalla Carugati alla via delle Morose le ho ripetute tutte le vie al Cavallo. Tutte vie di sogno.
La prima è stata la Cassin: che emozione! L'ultima Ludo Mentis: si, ma un gioco per adulti! La Via del Det ho esitato a lungo prima di ripeterla. Ammetto che mi incuteva un po’ di timore. Di non essere ancora all'altezza. Non mi piace fallire, come tutti. E quella via comunque la guardi, dal basso o dall’ alto, ti dà da pensare. Poi mi son deciso ed è stata una gran soddisfazione. Non ha senso parlare di "libera" o di "artificiale" per una via come quella. Le due cose si fondono e si rincorrono di continuo. E' una via che ti impegna e ti succhia la testa. A me piace quando è la testa a tenere sotto controllo la situazione, e non dipendere più di tanto da un chiodo aleatorio. L'esperienza certo conta.
E’ quella che ti da sicurezza quando guardi un tratto di roccia che sembra impossibile.
Poi ci vuole determinazione: devi voler passare. Una via prima di farIa te la covi dentro magari per anni. Ci entri con la testa, poi ti viene.

Conversazione con Marco Anghileri 14 febbraio 2010
Trascrizione di Adelio Alquà per “Sass Cavall”

Luisa Rota Sperti

Sono salito per la prima volta dal Det per farmi raccontare di Casimiro e qualcosa ho finito a scrivere anche di lui… e il confronto fra questi due grandissimi alpinisti è davvero illuminante. Li univa una provenienza "provinciale" e un amore per gli spazi sterminati. Diciamo che senza avere meno passione, il Det ha raggiunto e non con la maturità, ma molto prima, un distacco nel rapporto con le cose che Casimiro, che sapeva cercarsi i compagni in base all’ impresa che aveva in mente, avesse scelto proprio per lui la big-wall del Piergiorgio, dove serviva pazienza infinita, unita alla capacità di "far dentro i chiodi…"
Già perché questo è un altro aneddoto da aggiungere alla storia del Det: quello di lui in equilibrio sulle staffe che parla al chiodo che ha appena piantato per convincerlo a star dentro, a fare il suo mestiere. A ricambiare la fiducia riposta in lui… magari prima di lasciarlo per quei quattro-cinque metri lisci-lisci, tipici suoi che arrivano su un minuscolo terrazzino di sosta…
Personaggio di una sola montagna il Det, di una sola parete, verrebbe superficialmente da dire, l’ uomo del Sasso Cavallo. Non perché abbia arrampicato solo lì, ma per quel legame profondo e inestricabile (come dire "indivisibile", ma con maggiore intensità) con quella roccia dall’aspetto più unico che singolare.

Alberto Benini

Luisa Rota Sperti

"Det" il montanaro
"Det Alippi" è un montanaro e rimarrà montanaro. E’ questa la sua vocazione.
"Det Alippi" è anche alpinista. Di tanto in tanto. Ha scalato un po’ dappertutto: nelle Dolomiti, nell’Hymalaya, in Africa, parecchie volte in Patagonia e una vita intera sul Sasso Cavallo nelle Grigne, un paretone a casa sua. E’ diventato il guardiano del Sasso Cavallo.
Io, il "Det" l’ho conosciuto sul Lhotse, nella spedizione di Cassin del 1975.
Era magro aveva la pelle delle mani rugosa come la corteccia di un larice e camminava sempre, agile e veloce come un camoscio. Con Mario Curnis fisicamente era il più forte della spedizione. Non si lamentava mai. Ne sotto il sole battente, ne di notte nel freddo. Dormiva dappertutto. L'ho ammirato dall’inizio. Per quello che aveva vissuto, per il suo modo di raccontare con poche parole, per lo sfavillio deglio occhi alla partenza nel primo mattino. Soprattutto perché era rimasto montanaro. Anche sulla Sud del Lhotse.
C'è una gran differenza fra l’andare in montagna e il vivere la montagna.
"Det" vive in montagna. E' uscito di tanto in tanto dalla sua valle, ha lavorato fuori per nutrire la sua famiglia, ma ha sempre vissuto sulla sua terra, lassù in montagna.
E’ questa la sua forma di vita. E con gli anni è diventato una forma di Yogi delle Alpi, un poeta con poche parole, un saggio come Milarepa, il guardiano del Sasso Cavallo. Lo rimarrà sempre.

Reinhold Messner 13 giugno 2006

Luisa Rota Sperti

Sul Det il discorso si ferma e si allarga, perchè nell’ immaginario dell’ artista che lo conosce molto da vicino - gli Alippi , per chi non lo sapesse, sono una famiglia legatissima al lecchese un clan che riempie le Grigne dice la mia interlocutrice – egli incarna il tout court della montagna, ne è il mago, il deus ex machina. Tanto che - in un ciclo di cinque tavole e qualche disegno - la Rota Sperti lo identifica con il Sasso Cavallo, una grandiosa parete della Grigna tanto isolata quanto temuta, a strapiombo sulla Val Meria che domina Somana e il ramo manzoniano del Lario; e della cui contemplazione la nostra artista ha sentito nascere dentro di se una fiaba: la Piccola leggenda di Serpedrago e Sass Cavall...
Due corvi che la sussurrano all’orecchio dell’artista mentre si aggira, armata dei suoi libretti d’appunti, sui sentieri tra il rifugio Elisa e Rosalba, hanno la voce di uno scalatore precipitato dal Sasso. Al Sasso viene attribuita una fama sinistra. Nella sottostante valle si aggirerebbe poi un animale serpentiforme, il serpedrago appunto che depone le uova negli anfratti del Sasso. Ma il Sasso, eccessivamente chiodato dagli arrampicatori, si divincola per liberarsi dai ferri invasivi, e così frantuma le uova, provocando l’ira del serpedrago contro chi i ha infissi. Il liberatore sarà il Det, mago della chiodatura ma anche della schiodatura, che sconfiggerà il maleficio.

Lorenzo Revujeva

Luisa Rota Sperti

Fra la terza e la quarta tavola la leggenda diventa pian piano biografia... Piano piano, ma inarrestabile la "storia" scavalca il Cavallo. Scendo giù alla casa e lui mi scruta con occhi foschi: "Perchè io, perché proprio io?" Scappo via veloce. Da giorni e giorni addormentato il Cavallo si nasconde, ma io so che è lassù, e lo vedo comunque. Così vagando per la collina, o dall’ orto, e dal treno coi monti che scorrono via, inizio a pensare cose su cui amo meditare, disegnando i morti e i vivi, raccontando i popoli e le loro lunghe o brevissime esistenze, ed anche la mia (troppo spesso)…e scrivo.
Det, in fondo , il senso che può avere la vita di un artista sta nel non lasciare che le cose preziose, piccole o grandi, scompaiano rapite dal giusto scorrere del tempo.
Così nel mettere su cartoni, con le mie matite un pò celebro, un pò tramando, al di là di quello scorrere del Tempo...
Ci sono storie di persone conosciute (anche troppo) ed altre che sarebbe bello conservare; La tua è una di queste. Così sto disegnandoti una leggenda che diventa biografia rispettando la tua vita di tutti i giorni; non te l'ho detto, lo stai leggendo adesso: forse anch'io sono stata scelta, come te, la fata la stria e principe e cavalieri.

Luisa Rota Sperti

Luisa Rota Sperti

Basta percorrere con lo sguardo i lineamenti del suo volto, osservarne il fisico e la gestualità, per scoprire affinità e similitudini con la roccia del Sasso Cavallo al Grignone o con quella della Grignetta. Viso, nervi, muscoli, ossa, cervello, intelligenza, volontà: tutto richiama la montagna. E anche la sua energia: energia da vendere. Nessuna concessione al superfluo, però: solo quello che basta a un uomo che sa vestire la dignità con eleganza, nel modo più naturale possibile.
Ha ragione Reinhold Messner. Il Det, prima che un alpinista, è un montanaro. Ma forse bisognerebbe allargare il concetto usando più sostantivi, perché nel linguaggio comune quel termine non gli rende un buon servizio. Colpa del modo obliquo con cui gli inurbati guardano la montagna - soprattutto quelli che da valli e pendii sono stati scacciati dalla vita grama. E allora, visto che la lingua di Dante non ha prodotto al proposito nulla che suoni come il bergsteiger, dei tedeschi o il montagnard dei francesi, diciamo che il Det è un homo montanus. E un uomo di montagna, come rileva giustamente Messner - e qui parliamo di un uomo tutt' altro che risucchiato dall' omologazione -, è antropologicamente diverso da chi pratica cime e ghiacciai solo per diporto. La differenza sta nel processo di assimilazione dell' ambiente, nelle radici della comunità di appartenenza, nella configurazione culturale. Ma anche nel sentirsi vivi là dove la natura mantiene intatti i suoi diritti. Nella propria storia, nel retaggio della propria memoria. Nel diverso sguardo, che non si esaurisce in un puro atto emozionale e nell' apprezzamento estetico. E infine, nella capacità di risposta alle sfide quotidiane proposte dalla morfologia degli spazi verticali.

Roberto Mantovani

Luisa Rota Sperti

Sasso Cavallo? Credo che mi attirasse una certa qual sua aura di montagna insolita, tant'è che lo misi in elenco - perché allora mi ero elencata le cime dei miei desideri. Poi, contrariamente a molte altre dell'elenco, non l'ho salito. Dapprima perché troppo impegnativo, poi perché si riportava che c'era del VI grado su pericolosi strapiombi d'erba. Il Sasso Cavallo è rimasto lì. Forse aspetta.
Ma neppure mi ero mai inerpicata alle spalle di Mandello. Fino a quando, poco tempo fa, per ingannare le ore in attesa di luci propizie per una fotografia verso la parte opposta del lago, l'amico Gianni mi ha invitato a fare quattro passi in Val Meria. Nel tremolio della calura estiva, mi sono accorta che quella strana valle a me sconosciuta aveva qualcosa da rivelarmi. Tra il verde lucido e intenso dei suoi dirupi di cespugli arborescenti che compattano i boschi, intravedevo solo qualche affioramento roccioso e qualche brandello di costruzioni. Le vette, nascoste oltre l'erta dei versanti verdi. In basso, gli appezzamenti curati di qualche coltivo, diversificati secondo l'esposizione al sole. Nascosto lo sbocco sul braccio di lago da qualche gruppo di case. Villaggi, città invisibili e lontane, potrebbero non esistere, si possono togliere dalla realtà del luogo.
Questo genere di valle, mi è venuto da pensare, condiziona anche il modo di vedere la vita di chi ci vive, taglia l'erba, coltiva le patate, va a caccia o alla ricerca della capra dispersa, costruisce fontane e aggiusta gli scoli dell'acqua. Ovviamente non sono come lui, non posso esserlo, vivo altrove, non so sfalciare prati scoscesi né mungere le capre, non raccolgo legna nel ripido sottobosco e nei pressi dei roccoli non insidio gli uccellini. Ma so d'anticipo che ho simpatia per lui anche se non lo conosco, e poi potrebbe essere anche alpinista sotto le spoglie del contadino.
Al di là di ogni manifesta disuguaglianza, possiamo avere qualche vibrazione in comune sulla cordatura dell'esistenza. Ci dev'essere qualche ragione se, per caso o non per caso; io e qualcuno di loro siamo diventati alpinisti, se io e qualcuno di loro abbiamo cercato e trovato una Patagonia a misura per farvi convergere le esigenze dei nostri sogni.

Silvia Metzelin "Sasso Cavallo"